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L'impresa di lasciare: quando il futuro non sta solo nei numeri

  • vocalew
  • 21 mar
  • Tempo di lettura: 3 min

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Qualche giorno fa  ero in consulenza con un imprenditore. Stavamo lavorando alla presentazione finanziaria della sua azienda, parte integrante di un business plan costruito con serietà e visione. Ma nel dialogo è emersa, forte e inevitabile, una domanda che aleggia in ogni impresa a conduzione familiare: come affrontare il passaggio generazionale?

Il passaggio generazionale, infatti, non è solo un problema da risolvere con strumenti giuridici o fiscali. L’errore che molti fanno – avvocati, tributaristi, commercialisti – è pensare che basti la tecnica: la holding, il trust, il patto di famiglia. Tutti strumenti utili, ma mai sufficienti.

Perché il passaggio generazionale è, prima di tutto, una questione umanistica. Riguarda i rapporti, i legami, le emozioni. Riguarda ciò che siamo, prima ancora di ciò che facciamo.


I numeri non bastano

Sappiamo bene che per la  valutazione aziendale  ci sono metodi precisi, affidabili e confrontabili. Il bilancio può essere riclassificato, si possono costruire business plan a x anni, calcolare flussi di cassa attualizzati con la Discounted Cash Flow Analysis, applicare multipli di mercato.

Ma quando ci si siede accanto a un imprenditore che ha costruito la propria azienda in 30 o 40 anni di lavoro, quei numeri non sono semplici dati: rappresentano la sua vita e quella di tutti coloro che hanno contribuito con le loro storie personali.

Un EBITDA positivo non è solo un indicatore economico. È fatto di notti passate a pensare, di clienti convinti con fatica, di errori pagati e di ripartenze silenziose. È un numero, sì, ma pieno di significato umano.

E poi ci sono figli e nipoti. Spesso preparati, brillanti, ma con visioni differenti. Non basta mostrargli un business plan per coinvolgerli: serve un ponte tra la storia vissuta del fondatore e la visione futura delle nuove generazioni.


In una recente consulenza, la figlia dell’imprenditore non si riconosceva nei numeri: “Sono dati tuoi, non miei”, sembrava dire. La tecnica era impeccabile, ma mancava la narrazione condivisa, quella capacità di trasformare un piano industriale in un racconto che includa anche chi verrà dopo.

Per questo dico che i numeri non bastano. Servono, certo, sono necessari, ma non sufficienti:  devono parlare. Devono diventare strumenti di comprensione, non solo di misurazione.

L’impresa, in fondo, non è solo una struttura economica. È un organismo vivo, fatto di memoria, identità e desideri. E il passaggio generazionale è il momento in cui tutto questo chiede di essere ascoltato, riconosciuto, rielaborato.


La strategia umanistica costruisce il  ponte tra le generazioni

La strategia umanistica concretizza  un approccio che coniuga tecnica e umanità. Fare strategia aziendale non significa solo costruire scenari di crescita, né tantomeno scegliere tra un fondo di private equity, una quotazione sul Milan Growth o l’indebitamento bancario.

Fare strategia significa accompagnare l’imprenditore in un percorso evolutivo, aiutarlo a vedere e valorizzare ciò che ha costruito, e prepararlo a consegnarlo a chi verrà dopo.

Non esiste un algoritmo per farlo. Esiste il dialogo, l’ascolto, la capacità di leggere dietro i numeri. Uomini oltre ai numeri. Storie oltre i bilanci.


Ti riconosci in queste domande? Parliamone.

Se anche tu stai riflettendo su come valorizzare la tua impresa, prepararla al futuro o affrontare il passaggio generazionale, ti invito a fissare un incontro preliminare in studio.

Sarà un momento di confronto, libero da schemi, per iniziare a mettere ordine tra i numeri e le emozioni, tra gli obiettivi e i timori. Perché ogni passaggio generazionale ben riuscito inizia così: con qualcuno disposto ad ascoltare quello che hai da dire.


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